La campanella e il frutto alato
Siamo giunti al termine dell’anno scolastico, giorno tanto atteso dagli studenti che non vedono l’ora di lanciare in aria tutti i libri e i quaderni -chi non ha mai provato un tale desiderio di libertà- o tanto rimpianto dai ragazzi e dalle ragazze più sensibili.
Ebbene sì, si è sentita suonare l’ultima campanella. Per alcuni, sarà stata l’ultima volta della loro vita. Si conclude infatti un percorso di cinque anni, all’inizio una durata apparentemente eterna che si rivela passare in un batter d’occhio. Ora l’occhio degli studenti del quinto anno è visibilmente carico di lacrime, ma delle lacrime migliori: quelle di gioia. Gioia nel ripensare a tutti i momenti particolarmente significativi di questi cinque lunghi brevi anni; gioia di essere arrivati al termine di un percorso e avvicinarsi all’inizio di una vita che prendiamo in mano attivamente. Gioia di aver trascorso questo tempo con i propri compagni, con i quali molto si è scherzato, certo, ma anche pianto e avuto conversazioni serie e profonde.
Per i maturandi certamente la scuola non è ancora finita, ci sono ancora da correre gli ultimi cento metri di una maratona, al termine della quale, come traguardo, ci si troverà catapultati nel mondo degli adulti. Non ci si deve permettere di pensare a smettere di correre. O meglio, qualora non si riuscisse a correre, si potrebbe pensare di spiccare il volo. Se non puoi correre, vola. “Sogna ragazzo, sogna” canta Vecchioni. Queste parole dobbiamo ricordarcele tutti, perché la condizione per volare è proprio quella di sognare e quindi avere delle ambizioni che ci fanno crescere le ali.
Nella scuola che ci ha visti crescere abbiamo lasciato un pezzo di noi. Ma la scuola cosa ha lasciato a noi?
Per questo “rito di passaggio” quale l’esame di maturità, ripensiamo a come siamo diventati quello che siamo, a quanto siamo cresciuti. Con le lacrime lasciamo cadere i fardelli del passato ormai superati, così potremo essere più leggeri. Così potremo spiccare e prendere il volo verso l’ignoto.
Di questo non dobbiamo avere paura. Che nessun vento ci spaventi. Con l’arte e la letteratura come compagni di vita e di viaggio -anzi, di volo- ripercorreremo la nostra natura dall’alto: “seguir virtute e canoscenza”. Non avremo le vertigini, ma la leggerezza dell’animo. Che non è superficialità, è volare alti, senza il cuore appesantito.
Indirizziamo le ali al vento della vita e seguiamo i nostri sogni e la nostra natura. Questo è vivere da “maturi”, come un frutto che ora è pronto ad essere gustato per le sue qualità dopo aver attraversato inverni ed estati e che è sempre rimasto attaccato all’albero che lo alimentava. Ci stacceremo da questo albero perché saremo abbastanza grandi da volare.
Diffondiamo il nostro sapore in giro e spargiamo dall’alto in nostro profumo.