Vis tu reviviscere?
Per meglio ritornare alla “normalità”, alla frenesia della vita quotidiana, alla luce di questa Pasqua appena passata, credo dobbiamo ricordare questa frase, o meglio, questo interrogativo nel Satyricon di Petronio. Vuoi ritornare a vivere?
Ciò su cui concordano la visione pagana e la tradizione cristiana è proprio questo: la Pasqua porta con sé grandi cambiamenti non solo meteorologici -arriva la primavera- ma anche interiori. Si tratta di una festa che rappresenta indiscutibilmente una nuova vita, un nuovo inizio. Rifioriscono quelle crepe, quelle sofferenze che hanno contribuito alla nostra crescita. Per questo è sì un inizio, ma anche uno sguardo consapevole a ciò che si conclude. Pasqua, allora, è guardare in faccia la morte, la sofferenza, le difficoltà della vita per accoglierle come necessarie e come fondamenta per la costruzione di qualcosa di più grande della morte.
Alle volte ho come l’impressione di vivere le giornate inconsapevolmente. “Vuoi deciderti a tornare a vivere” quindi per me è come un getto di acqua gelata in faccia, che mi ricorda che non posso vivere da morto, nell’inerzia, la mia esistenza. Può sembrare paradossale ma non per questo impossibile. Anzi, è molto più semplice vivere da morto, con noncuranza negligente, la propria esperienza sulla Terra.
La “rottura”, le crepe vanno accolte perché anche queste fanno parte della vita. Saremmo dei ciechi ottimisti ingenui se pensassimo che la vita sia soltanto “integrità”. Su questo concetto si basa il kintsugi, l’arte giapponese che consiste nel riassemblare i cocci di ceramica con l’oro. Così dobbiamo fare anche noi: rinascere con le nostre ferite consapevoli del fatto che l’oro non serve a nascondere il male, ma a fare in modo che questo possa essere usato a nostro vantaggio. Siamo oro e crepe, entrambe le cose.
E tu? Vuoi rinascere?